Storia

Il paese di Albettone è situato in una zona collinare fra i Colli Berici e i Colli Euganei.

Numerosi scavi eseguiti nelle zone dei Berici e degli Euganei hanno portato alla luce un numero considerevole di resti e manufatti attestanti la esistenza dell'uomo nelle epoche preistoriche più remote. Anche le nostre colline, e forse la pianura, furono abitati fin dal periodo Neo-eneolotico, cioè verso la fine dell'età della pietra levigata e durante la successiva età del bronzo, pressappoco comprese fra il 3000 e il 2000 avanti Cristo. L'unica testimonianza, possiamo dire, lasciataci dai nostri sconosciuti progenitori di quel lontanissimo periodo della loro esistenza è una scheggia silicea a forma di lancia, trovata nel 1935 nella Valletta sotto la chiesa vecchia di Lovertino e tuttora conservata nel Museo Atestino di Este che la ebbe in dono dal professor Antonio Giacomelli.

Sono stati trovati dei reperti dell'epoca romana, attorno alla chiesetta dei S.S. Vito e Modesto. Si sono scoperti frammenti di anfore, pezzi di spade, pietre grezze, sagomate e lavorate, e molti cocci laterizi: embrici, tegoloni, mattoni.

Esistono anche notevoli tratti di fondazioni fatte in scaglia mista a cocci di embrici romani messi in calce, strati di pavimenti e parti di mosaici. Sembra che le fondazioni si prolunghino in direzione est fino agli "Absidi".

E' probabile quindi che in epoca romana sorgesse un abitato in questo luogo situato tra la colonia d'Este e il municipio vicentino, i cui confini potevano correre lungo i centri di Teolo, Lovertino e Albettone. E' stato anzi supposto che il nome Melia_ fosse legato a quello della via consolare romana Emilia Altinate, un braccio della quale probabilmente attraversava la distesa pianeggiante tra gli ultimi dossi dei Berici e i prospicienti dirupi degli Euganei.

Il nome Albettone sembra derivi dal termine di "Al Betone", voce derivante da "Bodo" (fossato), in riferimento quindi alla presenza di corsi d'acqua.

Albettone è attraversato dal canale Bisatto, antica via di comunicazione, scavato intorno al sec. XII dai vicentini per incanalare le acque del Bacchiglione a danno dei padovani; il Bisatto rivestì un'importanza fondamentale per l'economia locale, in quanto permetteva l'agevole invio nelle città della pietra calcarea, assai abbondante in queste zone, dalla quale si ricavava la calce idraulica. Per controllare il traffico commerciale, vennero costruite lungo il canale varie torri, e una di queste (la "Colombara") è presente ancora oggi ed è stata oggetto di recenti restauri da parte dell'attuale proprietario. Questa torre, durante la dominazione veneziana, era la torre di guardia del porto di Albettone.

I primi insediamenti sembrano risalire ad età molto antiche, mentre Albettone viene ufficialmente nominato per la prima volta nel 983, in un privilegio del vescovo di Vicenza Rodolfo col quale si donavano al Monastero dei Santi Vito e Modesto alcune masserizie.

Secondo la tradizione un castello sorgeva sulla cima del colle che tuttora conserva il nome di Castellaro; esso fu probabilmente distrutto fra il XIII e il XIV secolo, periodo in cui infuriava la guerra tra Vicenza e Padova e non fu più riedificato.

Albettone è arricchito da ville di notevole interesse storico ed artistico: villa Negri De Salvi, - oggetto della nostra ricerca scolastica - ed oggi sede municipale, assunse l'attuale fisionomia nel XIX secolo, quando l'architetto Antonio Caregaro Negrin si rese responsabile di un inconsulto smantellamento delle originarie strutture quattrocentesche.

Costruita dalla nobile famiglia Campiglia, la villa passò successivamente ai Gonzaga (XVI secolo) e, nell'Ottocento, ai Salvi, che la rimaneggiarono completamente. L'unica testimonianza del passato è rappresentata da una piccola sala al pianterreno, salvata dalla distruzione, ove è tuttora conservata una serie di affreschi attribuiti a Giovanni Antonio Fasolo.

Da segnalare anche Ia chiesa parrocchiale, intitolata alla natività di Maria Vergine, costruita nel XV secolo e ricostruita negli anni 1860 - '70, definitivamente consacrata il 23 settembre 1923, e la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, con annesso ospedale scomparso nel XIV secolo.

Nella frazione di Lovertino troviamo la chiesa di San Silvestro, anticamente situata sul colle, sul quale è tuttora in parte visibile; l'attuale chiesa parrocchiale risale al 1856, e la chiesetta dei Santi Vito e Modesto, documentata già nel 753.

Quest'ultima, situata in pianura sul lato destro della strada che conduce a Vò Vecchio di Padova, è stata definita dallo scomparso illustre archeologo Mons. G. Lorenzon "la gemma dei Berici". L'absidina conserva la sua struttura originaria, mentre il resto dell'edificio subì una sostanziale trasformazione nel periodo romanico (cioè nei secoli a cavallo del Mille).

Presentava all'interno la figura di una grotta. Un furioso nubifragio la danneggiò gravemente nel 1965, facendone crollare il tetto. Restarono in piedi solo i muri perimetrali e recentemente è stata oggetto di un particolareggiato restauro, che l'ha riportata all'aspetto originale.

A Lovolo troviamo Ia villa Ricci Manfredini, detta Ca Brusà, risalente al XV secolo e probabilmente costruita per volere di una nobile famiglia veneziana. Nel corso dei secoli, fu di proprietà degli Erizzo, dei Manfredini, dei Ricci, venendo sempre utilizzata in rapporto allo sfruttamento dei fondi agricoli. Sempre a Lovolo sorge la chiesa di San Michele, già esistente nel XVI secolo.

La villa dei Campiglia, presente ad Albettone, è stata conservata tale fino al 1800, cioè fino al momento in cui il diffondersi del gusto romantico portò, nel corso del secolo XIX, a numerosi interventi sulle antiche case di villa che i proprietari ritenevano inadeguate alla moda del tempo. Per quanto riguarda il territorio vicentino, il più noto protagonista di tali manomissioni fu l'architetto Antonio Caregaro Negrin.

Nel 1842, egli ricevette dai Negri de' Salvi l'incarico di smantellare la loro residenza quattrocentesca di Albettone, già appartenuta ai nobili Campiglia, per erigere un nuovo edificio al quale fu conferito l'attuale aspetto neogotico.

Fortunatamente, dell'antica villa fu risparmiata una sala al piano terra ove Giovanni Antonio Fasolo aveva affrescato, tra il 1560 e il 1570, episodi e svaghi della vita in villa particolarmente suggestivi per l'eleganza delle figure e per la naturalezza degli atteggiamenti. Le scene superstiti, raffiguranti la musica, il gioco e la caccia, subirono, nel 1858, pesanti manomissioni ad opera di Giovanni Busato e solo recenti restauri ne hanno restituito il fascino e la bellezza. Nel loro affascinante complesso il ciclo di affreschi di Albettone ci dà l'immagine più compiuta della vita in villa dell'aristocrazia veneta del '500, un costume che si protrarrà fino a tutto il Settecento.

torna all'inizio del contenuto