Le malghe

Alla fine di maggio o all’inizio di giugno, quando l’ultima neve si è sciolta, da parte degli ormai pochi malgari si carica la montagna, per una permanenza che la consuetudine vorrebbe fino all’8 settembre, ma che viene allungata anche alla fine di ottobre.

Le strade che salgono al massiccio sono in gran parte ancora quelle che venivano usate (la Cadorna e la Giardino) per portare il rancio o per dare il cambio ai combattenti della prima guerra mondiale. Ovunque si scoprono gallerie e camminamenti, resti di antiche presenze militari, che ancora segnano le ferite che incisero il terreno in simbiosi col dilaniamento delle carni umane.

Le vallette sconvolte dalle granate, brulicanti di soldati all’assalto, ora sono silenziose e tranquille profumate di lamponi e mirtilli e il rosso imporporinato dei rododendri sembra il rifiorire del sangue umano, come omaggio perenne a chi mori per la propria patria, qualunque essa fosse.

Pur combattendo le visioni nostalgiche e romantiche dell’antica vita rurale, c’è la volontà di restaurare economicamente la montagna, di aiutare la gente che vi lavora a difenderla e ad arricchirla conservandone la genuinità originaria. Un ruolo essenziale per il raggiungimento di tale obiettivo è svolto da quella particolare azienda montana che è denominata malga.

La stessa parola di ascendenza, sembra, preindeouropea, testimonia l’antichità di un tipo di lavoro e di vita rimasto quasi indenne dai mutamenti della storia e dei costumi.

Per secoli la malga ha risposto positivamente alle esigenze del montanaro e del contadino e ha svolto una preziosa funzione nella protezione del territorio.

I pascoli alti vengono utilizzati, conservati e migliorati con l’alpeggio estivo, una attività che risponde a due funzioni rilevanti: libera il contadino a valle dal governo della stalla, nel periodo dei piú pressanti lavori, e gli permette di accumulare il foraggio per la stagione successiva.

L’edificio abitativo della vecchia malga era costituito da due vani, che rimangono tuttora, anche se talvolta affiancati da altre stanze. Nel “cason da fogo” si scalda il latte e si prepara il desinare; nel “cason da formaio” si lavora il latte. Sopra si trova il vano dormitorio. La stalla in muratura è una innovazione del primo dopoguerra ed è destinata alle lattifere, mentre le manze sono riparate da lunghe tettoie aperte a valle (“pendane”, che troviamo anche come toponimo.

Nell’orto di malga si producono ortaggi particolarmente apprezzati come il sedano e il cavolo capuccio. Ma, i prodotti più veri sono il latte, che ha tutti i profumi, il burro, che è fra i più pregiati, i formaggi, la puina (ricotta) fresca e infumegà, le casatelle.

Le malghe del Grappa sono anche case ospitali dove si può trovare del pane casereccio, della polenta abbrustolita, della puina, della soppressa magra e qualche bicchiere di buon vino nostrano.

La malga, comunque, non è tutta qui. Gli aspetti più originali può scoprirli direttamente il visitatore, purché vi si accosti con una sensibilità rispettosa di questo museo vivente, fatto di storia e di lavoro, in cui l’aggettivo genuino mantiene ancora il suo originario significato.

torna all'inizio del contenuto