Monumento ai Caduti - Fontigo

 Monumento ai caduti di Fontigo (La chiesetta di San Rocco)

La trasformazione in Monumento ai Caduti ha permesso alla chiesetta di San Rocco di Fontigo di mantenere il carattere di edificio “communitario”, non solamente nel senso di “communità parrocchiale” ma anche in quello più ampio; un carattere, questo, che l’oratorio aveva avuto fin dalla sua costruzione, quasi duecento anni prima, quando era stato “fabricato a spese della Communità”.

Come la quasi totalità degli edifici di Fontigo, anche l’oratorio di San Rocco fu distrutto dagli eventi bellici nel 1917/18. Nel dopoguerra fu ricostruito e destinato ad una nuova funzione, legata alle tristi vicende di quegli anni: non più una “semplice” chiesetta di campagna, ma una piccola chiesa-monumento che ricordasse la memoria dei caduti della frazione.

Questo desiderio fu espresso dalla “maggioranza della popolazione” il 24 ottobre 1926, grazie anche all’interessamento del parroco locale don Ettore Benvegnù-Pasini, grande invalido di guerra e benemerito anche per la “regolarizzazione” del culto di santa Libera, e del capitano (poi tenente colonnello) Tullio Pillonetto di Sernaglia. La “cappella espiatoria”, progettata dal geometra Attilio Maroso, anch’egli mutilato di guerra, fu terminata nel giugno del 1927.

A Fontigo la chiesa parrocchiale di San Nicolò rimase fino al XVIII secolo l’unico edificio sacro, dato che anche Santa Libera era solamente un’edicola o capitello.
Nella prima metà del ‘700 fu costruita un’altra chiesetta, dedicata a San Rocco, come era stato fatto a Sernaglia circa cento anni prima: in una relazione del 17 agosto 1729, preliminare alla Visita del vescovo Benedetto de Luca, si parla di “un oratorio, ma non ancora stabilito, né però ivi si celebra”.

Pochi anni dopo, in una relazione analoga per la prima visita di Lorenzo da Ponte (1742) si dichiara che “da visitarsi vi è il solo oratorio di San Rocco ultimamente fabricato a spese della Communità, nel quale si celebra con licenza”; dieci anni dopo (1752) una nuova relazione ribadisce che l’oratorio “sotto il titolo di San Rocco confessore” è stato “fatto dalla Communità”. È possibile che la nuova chiesetta abbia sostituito un capitello più antico, sempre dedicato a San Rocco.

Gli arredi liturgici, inizialmente, dovevano essere alquanto spartani e non corrispondenti alle prescrizioni della Chiesa: in occasione di entrambe le Visite del 1752 e del 1763 si ordinò di sistemare o acquistare paramenti e suppellettili sacre affinché le celebrazioni nell’oratorio raggiungessero un livello minimo di dignità. In particolare fu prescritto di far indorare il calice e di procurare una pianeta utilizzabile nelle feste di vari “colori” liturgici.

La scelta di una cappella anziché di un gruppo scultoreo come a Sernaglia e a Falzè fu dovuta alla proibizione governativa di ulteriori statue, per motivi di risparmio; Pillonetto, tuttavia, sottolineò come associare il ricordo dei caduti alla chiesetta di San Rocco fosse molto opportuno anche perché sul piazzale antistante, il 27 ottobre 1918, si era svolto un evento bellico di un certo rilievo, cioè il respingimento – da parte degli Italiani – di un tentativo di imboscata delle truppe nemiche, nel quale era rimasto ucciso il sottotenente Augusto Berti.

Con la ricostruzione, la struttura architettonica dell’edificio cambiò parecchio rispetto all’anteguerra; fu aggiunto un atrio a colonne, ispirato all’architettura greca, per ospitare lapidi con i nomi dei caduti ed iscrizioni a ricordo degli avvenimenti bellici. Venne mantenuta, comunque, anche la memoria del titolare “storico” dell’oratorio, San Rocco, acquistando da una ditta della Val Gardena una scultura lignea che lo raffigura con gli abiti e la conchiglia tipici dei pellegrini.

 
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