Percorso ecologico Fontane Bianche

L'area comunemente chiamata Fontane Bianche di Sernaglia si estende per più di 100 ettari.
Da un punto di vista geomorfologico esse sono situate, grosso modo, all'imbocco della stretta di Nervesa appena sopra la confluenza nella Piave del fiume Soligo, ultimo suo affluente, prima che la Piave abbandoni definitivamente il suo bacino imbrifero montano, per immettersi nella pianura veneta sottostante.
Più precisamente le Fontane si vengono a trovare allo sbocco nell'alveo del Piave dei torrenti Rabòs e Rospér, penultimi suoi affluenti, separati rispetto al Soligo dalla spalla rocciosa su cui sorge il paese di Falzé di Piave.
Il naturale confine a Nord dell'area delle Fontane è costituito dall'antico terrazzo fluviale della Piave, a Sud dall'attuale alveo del fiume stesso. La sua delimitazione ad Ovest è data, in prima approssimazione, dalla congiungente la chiesetta di S. Libera a Fontigo con il Molino Vecchio in Val.
Nel cuore delle Fontane Bianche il circolo della Legambiente di Sernaglia della Battaglia ha rilevato in concessione dal Genio Civile di Treviso un appezzamento di 26 ettari di estensione, caratterizzato dalla presenza di un fitto e ben conservato bosco golenale nonché da numerose risorgive e specchi d'acqua. Qui è stato individuato e successivamente attrezzato un percorso didattico-naturalistico opportunamente studiato per la più completa fruizione ed osservazione delle numerose e differenziate emergenze floristiche e faunistiche ivi presenti.

Come accenna il toponimo stesso (l'aggettivo bianche si riferisce con ogni evidenza alla costante limpidezza delle acque di risorgiva, in contrapposizione alla periodica torbidità di quelle fluviali o torrentizie), l'elemento caratterizzante questa porzione di territorio non è tanto l'idrografia superficiale quanto quella profonda. Le numerose conche e risorgive presenti sono alimentate dalle acque di falda di un bacino imbrifero a monte che si snoda da parte delle Prealpi Trevigiane, alle colline ed ai Palù del Quartier di Piave, per una estensione di circa 5.000 ettari.
Come ha rilevato l'analisi chimica (in occasione del rilevamento del tasso di atrazina presente nelle acque del Quartier di Piave) la falda accennata è in massima parte indipendente dalla confluenza con la Piave e si mantiene costante e copiosa anche in corrispondenza delle secche di quest'ultima.

In alternativa al più comune toponimo "Fontane Bianche" viene anche usata la denominazione "Fontana Fredda" dove questa volta l'aggettivo mette l'accento su un'altra caratteristica delle acque di risorgiva e cioè la temperatura pressoché costante intorno ai 10° almeno per un certo tratto della sorgente, finché la temperatura dell'ambiente esterno non abbia il sopravvento su quella del corso d'acqua. A parte la semplice verifica per semplice contatto cutaneo, per cui tali acque sembrano gelate d'estate e calde d'inverno, l'aspetto più vistoso di tale isotermia sono gli estesi banchi di nebbia che si formano, d'estate, per condensa dell'aria umida e calda, a contatto con le masse fredde dell'acqua delle Fontane.

Da un punto di vista botanico, la particolare posizione strategica di quest'area dà ragione del suo particolare interfacciamento tra specie di pianura provenienti da sud, con specie termofile, discendenti dalle colline retrostanti attraverso i torrenti locali, con specie infine spiccatamente montane trasportatevi dalle Prealpi per mezzo della Rabòs o della Piave; senza parlare naturalmente delle associazioni vegetazionali, tipiche delle zone umide e delle specie ruderali ed infestanti, colonizzatesi da tempo nelle grave adiacenti. Tra le specie termofile basti citare, per fare solo qualche esempio, la presenza di Orchis Militaris, di Gymnademia Conopsea, di Lilium Bulbiferum, di Listera Ovata e di Pulmomaria Vallarsae. Tra le specia igrofile spicca la presenza dell'ormai rara lris Sibirica. Va segnalato inoltre per quest'area il fenomeno delle reiterate fioriture, legate all'isotermia delle acque di risorgenza.

La particolare collocazione delle fontane si rivela ancora una volta strategica anche dal punto di vista faunistico e specificatamente dal punto di vista dell'avifauna di passo. Il fronte prospiciente la catena delle Prealpi Trevigiane e delle colline sottostanti è infatti sede di costanti correnti d'aria ascensionali tali da costituire un corridoio preferenziale (una specie di autostrada) per il flusso dei migratori da e per il Nord e l'Est dell'Europa. La vegetazione fitta delle "Fontane", la presenza di numerose vasche d'acqua, ben dissimulate nel verde, lontane dai centri abitati, rappresentano un irresistibile punto di attrazione per gli stormi di passo (un'area di servizio per riprendere il paragone automobilistico); qui vi ritrovano un'oasi di tranquillità ideale per rifocillarsi e ripartire, talvolta anche per svernarvi germani reali, tarabusini, porciglioni, gallinelle d'acqua, garzette, aironi cenerini, ,marzaiole ecc.
Tra gli stanziali possiamo ancora citare a titolo di esempio varie specie di picchio, vari rapaci tipo gufo comune, allocco, poiana, e naturalmente il martin pescatore, immancabile in un posto come questo così abbondante di pesce, dato il pressoché totale emungimento delle acque della Piave in corrispondenza dello sbarramento di Fenér. L'asta fluviale fino a Nervesa viene infatti di fatto a trovarsi in secca costante eccettuati i brevi periodi delle intense piogge primaverili e autunnali. La fauna ittica è perciò costretta a concentrarsi nei pochi punti di immissione idrica in questo tratto di Piave è cioè alla foce della Teva a Vidor e delle "Fontane Bianche", appunto, oltreché alla foce del Soligo.
Si hanno essenzialmente trote, cavedani, barbi, alborelle, anguille ecc. Alla costante erogazione delle risorgive va ricollegato, pari pari al patrimonio ittico citato, anche il parallelo e interdipendente mondo degli anfibi e rettili ivi presenti, nonché l'orizzonte dei piccoli e medi mammiferi alloggiati sulla scarpata rocciosa del fiume. Al ruolo delle "Fontane" e della scarpata rocciosa sovrastante, come cerniera di collegamento tra monti e pianura veneta attraverso la traiettoria dell'asta fluviale della Piave, è ancora una volta legata anche la valenza archeologica e storica dell'area in questione.

Lungo le sponde rocciose e sopraelevate del fiume in questo punto preciso in cui esso presenta il suo massimo restringimento era infatti collocata una serie ininterrotta di insediamenti risalenti per lo meno all'età neolitica, attivi poi per tutta l'età del bronzo fino al primo ferro. Come ben si può dedurre dai vari manufatti in selce, degli innumerevoli scarti di lavorazione e dai frammenti di ceramica sparsi un po' ovunque sulla superficie dei campi sovrastanti il terrazzo della Piave, si tratta con ogni evidenza di villaggi di artigiani specializzati nella lavorazione della selce, cioè della materia prima più preziosa e comune prima e durante la prima scoperta dei metalli.

La ragione ditale presenza va giustificata non solo con la comoda reperibilità dei pani di selce tra i ciottoli del fiume sottostante, ma anche dall'altrettanto ovvio motivo che il greto del fiume ha sempre rappresentato nei secoli passati, la più naturale via di transito e di commercio, tanto più in periodi come quelli in cui l'intera pianura Padana era interamente ricoperta da un'unica ed ininterrotta foresta planiziale. Non dimentichiamo che l'attività dei "Zatèri" e "Menadàs" della Piave, gia documentata da iscrizioni tombali di epoca romana, è cessata meno di un secolo fa, tanto da essere ricordata da testimoni tuttora viventi. Il ritrovamento nei luoghi citati di manufatti in bronzo e di palline vitree testimoniano ancora il collegamento con le miniere di rame dell'oltralpe e con i laboratori del vetro della bassa Piave.

Il tracciato stradale che verrà poi indicato dai geografi e/o storici di epoca romana col nome di Opitergium-Tridentum (Oderzo-Trento) altro non era che la naturale prosecuzione di quel più antico percorso che costeggiava il medio corso del fiume. Ancor oggi in località "Levade", a breve distanza dalle Fontane, in una piccola sottoarea denominata "Fornase", sono tutt'oggi riscontrabili numerosi avanzi di mattoni (sesquipedali), di embrici, di pesi da telaio, cocci di anfore ecc. con bolli laterizi (cioè marchi di fabbrica) che rimandano inequivocabilmente a quel periodo tali materiali fittili.
E anche in questo caso simili reperti non sono tanto giustificabili dalla reperibilità in loco della materia prima e cioè l'argilla (peraltro in scarsa quantità e di qualità scadente) quanto dalla comodità ad una strada per lo smistamento ed il trasporto ditali merci. Saltando al periodo veneziano e richiamando "i Zatèri" della Piave, appena a valle delle Fontane esiste ancora oggi l'edificio del "Magasìn", punto di attracco e di trasbordo delle zattere fluviali provenienti dalla Vai Bèlluna.
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