Chiese

Duomo

 duomo       duomo       duomo       pala francesco da milano

Sinagoga ebraica, divenne chiesa cristiana nel 1559. Consacrata dal Vescovo di Ceneda il 22 ottobre 1559. Subì varie trasformazioni interne ed esterne. Facciata semplice e severa, venne restaurata nel 1868.
All’interno del duomo vi è un’unica navata, piena di luce, con soffitto dipinto verso la fine dell’Ottocento, al centro “Il trionfo di San Marco”, verso l’ingresso “San Prosdocimo in atto di battezzare”, vicino al coro “la traslazione da Settimo a Ceneda, della salma di San Tiziano” (già vescovo di Oderzo), ai lati“Sant’Antonio e San Francesco”. Tutte le opere sono attribuite al Sanfiori.
Il coro è del settecento ed occupa, con la sacrestia, l’area dove si trovava il cimitero ebraico; è separato dalla navata da un maestoso arco a tutto sesto, poggiante su due pilastri. Le balaustre in marmo bianco ingentiliscono il presbiterio. Il grande altare è di stile barocco con doppio tabernacolo arricchito da eleganti colonnine. Due statue sull’altare: a destra San Marco, a sinistra San Prosdocimo, titolari e patroni della comunità cristiana di Portobuffolè. Un grande crocifisso ligneo severo, rivela l’influenza della scuola tedesca del ‘400. Due sono gli altari laterali: a sinistra, entrando, si trova l’altare dedicato a Sant’Antonio in stile barocco. La mensa a forma di tomba contiene un’urna con le reliquie di San Gervasio, martire milanese.
A destra si trova l’altare del Rosario, benedetto nel 1726, con pala d’autore ignoto, rappresentante “la Madonna con Bambino, attorniata da angioletti”, ai piedi San Domenico e Santa Caterina da Siena.
Gli altari laterali vengono attribuiti al Torretti grande maestro del Canova, mentre l’altar maggiore al Ferrari. Sopra l’organo fa bella mostra lo stemma della Città, consegnato alla Magnifica Comunità di Portobuffolè dalla Serenissima Repubblica di Venezia.
Sopra il Battistero, una tavola di Francesco Da Milano, pittore attivo nella diocesi di Ceneda con ampia produzione di carattere sacro, databile al 1536 circa. Vi è raffigurata la Vergine assunta in cielo, con gli apostoli attorno al suo sepolcro vuoto; in primo piano San Marco e San Prosdocimo. Lo sfondo ritrae un paesaggio di monti rocciosi e un castello con torre, caro all’artista.
Due tele di artista contemporaneo ornano invece la parete destra: raffigurano il Crocifisso e la Natività.
Il vero gioiello del Duomo è l’organo del famoso maestro Gaetano Callido, opera terminata a Venezia nel 1780 e qui portata “per barca lungo il Livenza”.
Costò oltre 4030 lire oro venete e conta ben 471 canne di stagno misto a piombo, fuse tutte a mano.
Un bel Battistero in pietra monolitica, databile alla metà del sec. XVI, con una copertura lignea ottagonale del secolo successivo, si trova appena dopo l’ingresso, sulla sinistra.


In cima alla navata, prima dei gradini che salgono al presbiterio, si colloca la tomba di famiglia dell'arciprete Angelo Milani (1729). Un’altra simile si può notare ai piedi dell'altare di sinistra, dedicato a Sant'Antonio, ed appartiene alla nobile famiglia Faces (1713).
Ben riuscita infine la statua della Madonna pellegrina col Bambino, collocata in testa alla navata sulla destra, in atto di invitare i fedeli alla preghiera del Rosario. È opera di artista gardenese, commissionata verso la metà del secolo scorso.
 
Portobuffolè divenne parrocchia nel 1563. Prima la Comunità cristiana era formata da due Curazie, che si trovavano fuori del castello: una in località Rivapiana, di San Prosdocimo, l'altra, più antica, di Santa Maria in Settimo, affidata ad un Rettore fin dal 1374. Nel 1563 le due Curazie vennero riunite ed ottenne il titolo di parroco, con bolla pontificia di Pio IV e con decreto del doge di Venezia, Don Giuseppe Fantis eletto dal Comune nel 1603 che mutò il titolo di parroco in arciprete, titolo riconosciuto più tardi sia dalla Curia di Roma che da quella di Ceneda. La chiesa era Jus patronato.
 
 
SAN MARCO EVANGELISTA (scheda)
Conosciamo San Marco anzitutto dagli scritti del nuovo Testamento anzitutto, che sono i documenti più antichi su di lui, e da altre fonti cristiane dei secoli immediatamente successivi, raccolte per noi dallo storico Eusebio di Cesarea, vissuto al tempo dell’imperatore Costantino, nella prima metà del IV secolo. Sono queste le fonti più attendibili, sia per l’antichità che per il valore intrinseco dei documenti (criteri di storicità seguiti dagli autori). Esistono inoltre fonti latine, copte e bizantine dei secoli IX e X. Sappiamo con sicurezza, dall’insieme di queste fonti, che egli fu l’autore del secondo Vangelo, che fu apostolo in vari luoghi come Cipro, Roma e Alessandria, dove morì martire circa nell’anno 68 dC.
Ora vediamo un po’ più nei particolari la sua vita. La dobbiamo ricostruire non solo a partire dalle fonti canoniche – Vangeli, Atti degli Apostoli e Lettere di Pietro e Paolo -, ma anche da varie altre più tardive. Le fonti canoniche ci parlano della presenza di Marco a Gerusalemme prima e dopo la morte di Gesù, della sua collaborazione alla missione apostolica di Barnaba, di Pietro e di Paolo.
Per la missione nell’isola di Cipro con il cugino Barnaba, abbiamo gli Atti di Barnaba, composti nel sec. V. Da essi veniamo a sapere che, dopo questa missione, Marco si trasferì ad Alessandria: era l’anno 61. Possiamo quindi valerci di alcune fonti copto-egiziane più tardive, che confluiscono nell’omelia su San Marco di Anba Severo, vescovo di Nesteraweh (delta del Nilo), scritta nell’830 ca. Essa presenta una storia completa della vita di Marco, fin dall’infanzia. Narra l’apostolato africano a partire dalla Cirenaica e finito ad Alessandria. Un racconto molto incline a indugiare su particolari , miracoli e sentimenti dei personaggi: di stile tipicamente popolare. Infine, disponiamo della biografia scritta da uno dei maggiori agiografi bizantini, Simeone Metafraste (950 ca.). Qui ritroviamo la notizia dell’apostolato nella pentapoli libica, di cui Cirene è la capitale; poi ad Alessandria.
Da Severo sappiamo che nacque da una famiglia ebrea trasferita nella Cirenaica (oggi Libia), che suo padre era parente della moglie di Pietro e che, ritornando a Gerusalemme, ebbe una casa nei pressi dell’orto degli ulivi. Sempre secondo questa tradizione, proprio in quella casa si sarebbe svolta l’ultima cena di Gesù con i discepoli.
Dagli Atti degli apostoli - molto più antichi e attendibili – veniamo invece a sapere che sua madre si chiamava Maria e lui aveva due nomi, come era d’uso all’epoca, uno ebraico Giovanni e uno latino Marco (At 12, 12). Il Vangelo di Marco è il solo a riportare l’episodio del ragazzo che, nella notte della cattura di Gesù nell’orto degli ulivi, assisteva alla scena e seguiva il Maestro anche dopo la fuga generale degli apostoli; ma preso dai soldati, lasciò loro in mano il lenzuolo in cui era avvolto e fuggì anche lui nudo (Mc 14, 51-52). Molti ritengono che questa sia una testimonianza diretta dello stesso Marco e come una firma messa al suo Vangelo. Come Pietro, anche Marco - che era suo familiare e sarà suo discepolo – non rifiuta di manifestare la propria debolezza nell’ora tragica della passione di Gesù.
Sempre lo stesso libro degli Atti ci attesta che, dopo la Pentecoste, Pietro fu arrestato da Erode e poi in carcere fu miracolosamente liberato. L’apostolo si rifugiò allora, in piena notte, nella casa di Maria e di Marco, dalla quale poi partì per lasciare Gerusalemme forse alla volta di Antiochia e di Roma (At 12, 1 ss). Siamo nell’anno 44 d.C. Il giovane Marco deve essere stato molto caro a Pietro e forse era stato proprio lui ad avviarlo alla fede e a battezzarlo. Questo potrebbe essere il significato di quella affettuosa affermazione, che troviamo nella prima lettera di Pietro: “Vi saluta la comunità che si trova in Babilonia e Marco, figlio mio” (1 Pt 5, 13; Babilonia è un appellativo che indica la città di Roma).
Secondo la testimonianza di Eusebio, Pietro venne a Roma agli inizi dell’impero di Claudio (41-54 d.C) 1. “Preso per mano dalla Provvidenza universale”, che anche dalla persecuzione sapeva trarre un vantaggio per gli uomini, “dall’oriente portò in occidente la preziosa merce della luce spirituale”, cioè la parola del vangelo che salva l'uomo. Si pensa in base a questa notizia che Pietro potrebbe essere giunto nella capitale dopo la fuga da Gerusalemme e che anche Marco possa essere stato suo compagno di viaggio 2. A Roma infatti, secondo Clemente alessandrino, avvenne quella prima predicazione dell’apostolo, che interessò talmente i romani da chiedere a Marco di poterne avere un resoconto scritto. Marco avrebbe allora cominciato a scrivere il vangelo, che è il primo tra i quattro in ordine di tempo 3.
Ancora dagli Atti degli apostoli sappiamo che Marco fu tra i protagonisti del primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba - quest’ultimo zio o cugino di Marco - quando da Antiochia salparono alla vota dell’isola di Cipro e di qui passarono alle coste asiatiche (oggi Turchia), evangelizzando le città di Attalia e Perge. Siamo negli anni 46-47. Mentre i due apostoli proseguirono la missione, Marco da Perge – non sappiamo per quale ragione - fece ritorno a Gerusalemme. Qui, nell’anno 49 si riunirono tutti gli apostoli ed anche Paolo, per esaminare problemi relativi all’evangelizzazione. Pietro ha forse rivisto qui il lavoro redazionale di Marco e dato la sua approvazione, come riferisce Clemente alessandrino.
Dopo il concilio di Gerusalemme, Marco seguì Pietro ad Antiochia dove si trovavano anche Paolo e Barnaba. Non fu decisa una nuova missione comune verso le città evangelizzate nel primo viaggio, come è noto dagli Atti (15, 36-40), perché tra Paolo e Barnaba mancò l’accordo proprio circa la partecipazione di Marco. Questi, con Barnaba, si diresse verso Cipro. Su questa missione non abbiamo più notizie dagli Atti canonici, scritti da San Luca, ma dagli Atti di Barnaba, del V secolo. Essi ci dicono che l’isola venne interamente percorsa dai missionari e Barnaba incontrò la fiera opposizione di un certo Barjesus, coronando le sue fatiche con il martirio. Marco ne depose il corpo in una grotta, salpando poi alla volta della grande città di Alessandria in Egitto. Siamo all’incirca nell’anno 61. Non sappiamo però quale sia l’attendibilità di questi dati. Di certo va ritenuta la notizia dataci da Eusebio, quando dice che Marco fu mandato in Egitto e che la sua predicazione fu in quella regione molto fruttuosa 4.
Dalle lettere di Paolo possiamo con maggior sicurezza chiarire qualche altro momento della vita di Marco. Era a Roma durante la prima prigionia dell’apostolo, tra il 61 e il 63 (cfr. Col 4, 10). Nella capitale c’era in quel momento anche Pietro (1 Pt 5, 13, la lettera è databile all’anno 63-64), che vi subì il martirio nell’anno 64. Qualche anno dopo Marco doveva essere ad Efeso, poiché Paolo scrive a Timoteo di farlo venire a Roma con sé (2 Tim 4, 11). La data del martirio di Paolo pare essere il 67.
Successivamente le notizie sono molto più incerte dal lato storico: si rifanno alla tradizione aquileiese che inizia nel VI secolo, documentata dalla cosidetta cattedra di Marco: questa cattedra-reliquiario fu sottratta ad Alessandria all’invasione araba, portata a Bisanzio e di qui inviata a Grado dall’imperatore Eraclio nel 630.
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1Si legge in Storia Ecclesiastica II, 14,6: “All’inizio dell’impero di Claudio, la Provvidenza universale nella sua bontà e misericordia verso gli uomini, prese per mano Pietro, potente e grande, primo fra tutti gli apostoli per le sue virtù, e lo condusse a Roma (…) Dall’oriente, come un nobile condottiero protetto dalla corazza divina, egli portò agli uomini dell’occidente la preziosa merce della luce spirituale, annunciando come luce e parola di salvezza il messaggio del regno dei cieli”.
2In questi anni – e prima dell’arrivo di Pietro a Roma – si colloca la presunta missione di Pietro e di Marco in Babilonia d’Egitto (una fortezza romana nei pressi del delta del Nilo). Si veda G.Fedalto, op.cit. 41.
3 Clemente alessandrino nelle Ipotiposi, riassunte da Eusebio in Storia Ecclesiastica II, 15,1-2, attesta: [Ai romani che ascoltavano la predicazione di Pietro] non bastò di averlo udito una sola volta né di aver ricevuto oralmente l’insegnamento del messaggio divino, ma con ogni sorta di preghiere supplicarono Marco, di cui ci è giunto il vangelo e che era seguace di Pietro, di lasciare una relazione scritta dell’insegnamento loro trasmesso oralmente ed insistettero finchè non la compose. Furono così la causa della redazione del vangelo detto secondo Marco. Pietro venne a conoscenza del fatto per rivelazione dello Spirito, e rallegratosi per il loro zelo convalidò il testo perché fosse letto nelle chiese.
4 Storia ecclesiastica II, 16,1: Narrano che Marco, inviato in Egitto, fu il primo a predicarvi il vangelo che poi mise anche per iscritto; ed anche a fondare là delle chiese, proprio ad Alessandria; (…) numerosa fu la folla di uomini e donne convertitisi in quei luoghi fin dall’inizio”.

 
Bibliografia
Tramontin Silvio, San Marco. In Culto dei santi a Venezia - Ed. Studium cattolico Veneziano, Venezia 1965, p.43-73.
Bertoli Bruno, Le storie di San Marco nei mosaici e le ragioni dell’agiografia. In La Basilica di San Marco. Arte e simbologia - Ed. Studium cattolico Veneziano, Venezia 1993, p. 89-124.
Niero Antonio, San Marco. La vita e i mosaici. - Ed. Ardo, Venezia 1994.
Niero Antonio, Le reliquie e il rito di San Marco. In Omaggio a San Marco. Tesori dall’Europa. - Electa, 1994
Fedalto Giorgio, San Marco tra Babilonia, Roma e Aquileia. Nuove ipotesi e ricerche. In San Marco. Aspetti storici e storiografici. Cur. A.Niero, Marsilio, Padova 1996, p. 35-50.
Fawzy Girgis Samir, A Chronology of St. Mark. St.John the Beloved Publishing House, Il Cairo 2002
 
 
 
 
Chiesa San Rocco

 
san roccoPer assistere gli abitanti del Borgo, i viandanti e i barcaioli costretti a fare la quarantena nel vicino ospedale, il Consiglio Comunale il 20 aprile 1530 deliberò la costruzione di una chiesa, questa venne dedicata a San Rocco, che veniva insistentemente invocato come protettore contro la peste e le numerose malattie infettive al tempo molto frequenti; venne anche denominata “chiesa dei barcaioli” per la vicinanza al corso d’acqua. Nel 1538 il vescovo, Mons. Vincenzo Massari consacrò la nuova chiesa elevandola al rango di Parrocchia.
L’edificio lungo i secoli subì numerose modifiche; attualmente si presenta con un’unica navata e tre altari. L’altare maggiore, in pietra dura, con una bellissima statua della  “Madonna della seggiola” risalente al 1524: ha un volto soavemente materno, porta orecchini (strano caso) e tiene sulle ginocchia il Bambino. Vi è anche un’Ultima Cena a grandezza quasi naturale. Su due piccole nicchie a destra e a sinistra, statue lignee di San Sebastiano, San Valentino e San Rocco. Vi è anche unaTela rappresentante San Francesco con ritratto di Mastro Filippo, istitutore della Mansioneria (1394).
 
Sopra la porta di entrata si legge: ”Questo tempio, dedicato a Maria Assunta, che la fede dei padri eresse nel secolo XIV, e per ingiuria del tempo rovinato, la pietà dei nipoti, con denaro pubblico completò nel 1907”.
 
Oratorio di Santa Teresa

oratorio santa teresa     interno oratorio santa teresa     
Il tempietto, dedicato a Santa Teresa, venne edificato dalla famiglia Cellini. Sulla facciata tre statue: la Fede, la Speranza e la Carità. Due eleganti campaniletti ad arco in pietra lavorata e cupolette in metallo, terminanti in doppia croce dorata.
All'interno stucchi del Vittoria ed affreschi di Santis. Sul soffitto il trionfo di Santa Teresa con le virtù teologali. Sopra l'altare l'Immacolata, San Giovanni Battista e Sant'Antonio abate, in marmo bianco di Carrara. Al centro, tomba della famiglia Giustinian, lavoro d'intarsio. Al centro dell'abside trova il suo spazio il magnifico crocifisso ligneo dell'intagliatore bellunese Adrea Brustolon (1662 - 1732).
 
 
 
 
Chiesa dei Servi

 fronte borgo servi      navata borgo servi      altare      San Prosdocimo       

Piccolo gioiello d’arte e di storia, è la chiesa di San Prosdocimo, conosciuta anche come Basilica di Santa Maria dei Servi, realizzata da Benedetto Rizzo con testamento del 24 ottobre 1497. L’edificio sacro, completato verso il 1500, sostituì la ormai decadente chiesa di San Prosdocimo, adagiata sulla riva destra della Livenza in località Rivapiana e officiata dal pievano di Mansuè.
 
Scomparsa l’azione pastorale del pievano di Mansuè, troviamo i Servi di Maria (da cui il nome), giunti in data imprecisata. Vi rimasero circa due secoli fino a quando passarono nella nuova e spaziosa sede, composta da cinque altari, confortata da una foresteria funzionale e aperta alle necessità umano religiose della popolazione, non solo locale.
Papa Alessandro VII con bolla del 12 aprile 1656 permise la vendita del convento, della chiesa e di altri beni, per dare un contributo sostanzioso alla Repubblica di Venezia costantemente impegnata nella guerra contro i Turchi.
Il nuovo proprietario, conte Orio, patrizio veneto, ridusse la chiesa e risistemò il convento. Il lavoro iniziato nel 1786 terminò nel 1792. Una seconda modifica avvenne ad opera della famiglia Rota nel 1810.
 
Oggi il tempio ha modeste dimensioni: un’unica navata e tre altari.
L’altar maggiore in legno dorato è dedicato alla Beata Vergine Maria. La pala è di Paolo Ongaretto e presenta una Madonna con Bambino attorniata da graziosi angioletti: il volto di Maria è soavemente materno, i santi ai suoi piedi sono S.Filippo Benizzi e S.Pietro da Verona.
L’altare di destra è dedicato a San Prosdocimo e ospita una statua lignea molto antica, mentre l’altare di sinistra è ornato da una pala del 1828 raffigurante la Crocifissione. Nella piccola e disadorna sacrestia si trova la tomba della famiglia Orio.
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