Gaia da Camino


Gaia da Camino (1270-1311), grande protagonista di una stagione fortunata e vivace,  primogenita di Gherardo III e della sua seconda moglie Chiara Della Torre che, andata in sposa al cugino Tolberto III del ramo di sotto dei Caminesi, ebbe in dono dal marito il porto fluviale di Settimo.
Una figura femminile di rilievo, come ce ne sono nel nostro medioevo: principesse, sante, cortigiane. E Gaia era una principessa, senza dubbio: una di quelle donne che sapevano reggere le sorti degli altri. Ma era anche una valente poetessa, tra le prime in Italia a scrivere in provenzale, influenzata da quei trovatori che avevano lasciato la Provenza per rifugiarsi in gran numero nella Marca trevigiana ospiti delle Signorie dei Da Romano e dei da Camino. Si era fatta conoscere in tutto lo Stivale durante la sua vita, e la sua fama postuma aumentò dopo essere stata ricordata da Dante nel Purgatorio. Nel canto XVI il Sommo Poeta mette in bocca a Marco Lombardo queste parole, riferite a Gherardo: “per altro sopranome io nol conosco, / s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. / Dio sia con voi, chè più non vengo vosco”.
Non era, comunque, una donna qualunque. Tutt’altro: bella e capace, intelligente e sensibile, di cuore e di polso. Tanto è vero che qui Gaia era tenuta quasi in esilio. Un esilio dorato, intendiamoci. Né poteva essere diversamente per la figlia di Gherardo da Camino, capitano generale di Belluno e Feltre e signore di Treviso, uomo molto potente, stimatissimo da Dante che fu ospite per due anni presso di lui a Treviso e del quale scrisse nel Convivio.
Ma perché un esilio di Gaia a Portobuffolè? Non perché avesse amato uomini diversi, come cercavano di diffamarla alcuni. Piuttosto per la sua intraprendenza politica, in un momento di grave crisi a Treviso, dopo la morte di Gherardo nel 1306. Crisi di successione e di assestamento, con una eredità difficile.
Niente di più “gaio” della casa di Gaia, che è proprio leggiadra, elegante, gentile. Quando si parla di Gaia, emerge sempre questo risvolto gentile. Si respira nelle sue stanze un’emancipazione femminile alle soglie del Rinascimento. E la cosa risalta di più nella sua casa, per i molti riferimenti a un ruolo pubblico sostenuto qui a Portobuffolè, evidentemente con lo stile di una principessa. Una principessa in veste di reggente. A sancire un altro aspetto di Portobuffolè quello signorile e dolce, molto femminile, che caratterizza in modo assolutamente personale un castello nato per ragioni difensive.
Del resto, l’importanza della donna a Portobuffolè sembra essere consacrata ufficialmente da una specie di sigillo superiore, in grado forse di ricapitolare le virtù di Gaia. Nella facciata a mezzogiorno della casa ai piedi della torre comunale, ci sono i resti di un affresco dominato da quattro figure femminili: la Fama, la Carità, la Giustizia, la Pace. Il segno del benessere e della prosperità di una città. Appunto, al femminile. Molto preferibilmente nel ricordo di Gaia e del periodo del suo “regno” felice.     
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