La barchessa Miari De’ Cumani
 
Un piccolo micro-mondo, un paese nel paese dove famiglie molto numerose si alternavano nelle generazioni,sostenendosi a vicenda nella quotidianità di una vita scandita dal ritmo delle stagioni e dai tempi lenti e ripetitivi della natura.
Si presentava così la barchessa, nel passato. Ma il passato lascia spazio alle esigenze del futuro.
Gli spazi restituitici da un attento restauro, perseguito dalle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi quindici anni, ospiteranno le associazioni che già operano nella realtà del paese e tutte quelle che esprimeranno analoga volontà nel futuro.
Il complesso, formato dalla maestosa barchessa, una serie di edifici minori e l’aia lastricata all’interno di un muro di cinta in mattoni, venne costruito su preesistenze rurali cinquecentesche. Nel salone di villa Miari si custodisce una mappa dei beni a Sant’Elena del nobile Manfredo Conti, all’inizio del ‘700: possiamo così verificare la presenza di una casa domenicale affiancata dalla barchessa a cinque arcate e perpendicolare alla via del paese. I mutamenti di questa struttura agricola, tipica della villa veneta, sino ad arrivare all’aspetto contemporaneo, data alla fine del ‘700 come conseguenza del passaggio di proprietà dai Conti alla famiglia Miari e delle mutate necessità agricole. Infatti, gli edifici addossati alla mura di cinta sul lato est, a ridosso del primo arco del portico, risalgono al XIX secolo: un primo nucleo è databile tra il 1828 e il 1842 cui si aggiungeranno i ricoveri degli animali; gli alloggi dei salariati vengono invece realizzati nell’ala opposta.
Con l’incendio della porzione ovest, a fine dell’800,andarono distrutti il fienile e la stalla originari; rimase indenne il colonnato esterno del portico, un imponente susseguirsi di dieci arcate a pieno centro su pilastri,che costituisce una vera rarità nella zona. Le lesene che sorreggono la cornice di gronda sono un altro elemento che permettono un confronto con alcune barchesse della Bassa Padovana note per l’architettura di tipo ‘colto’ usata per le ville, come ad esempio ‘La Vanezza’della corte benedettina di Correzzola.
Con l’intervento di ricostruzione fu modificata la sagoma stessa dell’edificio e della copertura; il perimetro della porzione di edificio incendiato fu infatti ampliato verso nord, dando luogo a un corpo più profondo dell’originale per circa 3 metri. La copertura venne sopraelevata e si realizzarono delle aperture per l’aerazione con chiusura in mattoni ‘a nido d’ape’ poggiante sulla struttura lignea corrispondente alla quota di colmo originaria. L’impegno imprenditoriale agricolo della famiglia Miari, che già aveva garantito il restauro dopo l’incendio, comportò l’aggiunta a ovest di alcuni ricoveri per gli attrezzi e l’essiccazione dei raccolti.
Sempre a fine ‘800 si realizzò la vasta aia lastricata,ben conosciuta come selese: la tessitura, realizzata in tavelle di cotto verosimilmente prodotte dalla vicina fornace Gagliardo, rivela due fasi costruttive successive,l’ultima verso sud.
Pensando alla vita della corte, organizzata in mille mansioni specializzate e intrecciate tra loro, come la preparazione del pane per tutti che vedeva le donne alternarsi nell’impasto e nella panificazione, si capisce che la tipologia di questo complesso, rurale ma nato al centro del paese, è figlia di un modo di vivere molto preciso nella definizione dei ruoli, negli usi e nei costumi: una corte chiusa in cui uomini, animali e attrezzi convivevano,ognuno nei rispettivi edifici costruiti sempre con perizia e materiali adatti alla funzionalità e alla durata nel tempo.
Possiamo alla fine affermare che, nella storia del paese,la barchessa e la vita della sua corte è stata un esempio di comunità operosa e tecnicamente autonoma, a cui oggi guardare con giusto orgoglio e ispirazione.
(Giovanna Piccolo)






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