Pipa di Borso - cenni storici

Foto pipa di BorsoG.B.Lucchese, nel 1935, nel modesto fascicolo “Quaderno n. 3 dei Commentari dell’Agricoltura Trevigiana, piccole Industrie rurali poco note” (Arti Grafiche Longo e Zoppelli) asseriva, a riguardo della produzione di pipe in marasca a Borso del Grappa, che tutto aveva avuto inizio per opera di emigranti che, spostandosi in Austria per ragioni di lavoro, erano soliti portare con sé, nella sacca, cannucce e qualche pipa per uso personale. Relativamente al periodo sosteneva: l’epoca precisa non si conosce ma non ci si allontana dal vero asserendo che ebbe origine una sessantina di anni fa … cioè il 1875.
 
E’ noto che nel XIX secolo il “profumo” del legno di marasca era ancora molto apprezzato dai fumatori per cui i borsati, disponendo del legno, con ingegno, abilità, spirito di sacrificio e un’innata capacità nel commercio, iniziarono la produzione di pipe, innescando quel processo che diede vita alle industrie casalinghe a Borso. Le pipe, inizialmente commercializzate, erano, probabilmente, composte con bocchini in marasca e fornello in cotto del tipo chioggiotto o bassanese; nel 1859, a Bassano, Sebastiano Cavazzon aveva convertito la sua attività di produttore di cucchi, i noti fischietti, in quella di pipe in terracotta.
 
Vittor Luigi Paladini (1844-1913), asolano, pubblica, nel 1892, la sua guida “Asolo ed il suo territorio dal Grappa al Montello” e nel capitolo dedicato a Borso puntualizza: ... il territorio è in buona parte montagnoso e i molti pascoli, fanno sì che gli abitanti dedicano la loro opera alla cura di mandre e greggi e alla produzione di latticini … in questo Comune si esercita l’industria delle pipe e dei portasigari di marasca. Ne fabbricano, a domicilio, in gran numero, parecchie famiglie di contadini, poi li spacciano girovagando, o li vendono a grosse partite ai tabaccai di Milano, di Trieste e d’altre città. Non si potrebbe migliorar quest’industria, ritraendo la marasca da paesi, dove alligna spontaneamente assai profumata e dando ai vari articoli un po’ di garbo artistico!
 
Negli anni successivi, con profitto, furono trovate e ampliate le zone di smercio. Il beneficio che ne derivò, favorì, nel primo Novecento, il graduale passaggio, per alcuni, da industria rurale a impresa artigianale, cioè da contadini a pipai.  Lo comprovano i registri parrocchiali dove, negli sponsali degli anni ’20, compare dichiarata per lo sposo la condizione di “lavorante di pipe” o di “fabbricatore di pipe” tant’è che nella “Guida di Treviso e Provincia” del 1926-27, viene riportato uno stringato elenco dei fabbricanti di pipe e, cosa non trascurabile, alla voce “Industrie diverse e piccole industrie”, si indica Borso come unico sito di produzione di pipe e bocchini nel Trevigiano.
 
Le pipe erano arricchite con l’incisione di splendidi motivi ornamentali, con l’intaglio di figure caratteristiche e con il peculiare uso di perline di vetro. Questi elementi permettono, ora e con una discreta sicurezza, la loro identificazione. Vigeva, purtroppo, la consuetudine di smerciare la mercanzia spesso priva di qualsiasi indicazione sull’origine e, a volte, mistificando l’effettiva zona di produzione, menzionandone di più note, con lo scopo di dare all’oggetto un valore aggiunto. Per questa ragione, le pipe di Borso, presenti in collezioni pubbliche e private, anche di rilievo, difficilmente hanno riscosso o ricevono il giusto riconoscimento. Giuseppe Mazzotti (1907-1981) nel 1965 annota, riferendosi al legno di marasca, in “L’Artigianato nella Marca Trevigiana”: … quasi tutti gli abitanti di Borso ricavano pipe … intagliano in tutti i formati mostruose maschere … vi incastrano due perline bianche al posto degli occhi … e vengono largamente esportate. I malati che si recano a Lourdes possono trovarle come ricordo del luogo.

Nella prima metà del XX secolo i pipai di Borso hanno espresso il massimo dal punto di vista qualitativo e artistico; dopo il secondo conflitto mondiale, anche per la carenza della materia prima, si iniziò ad impiegare il carpino, essenza lignea con maggiore reperibilità e disponibilità ma meno adatta allo specifico uso del nostro prodotto, perciò le pipe persero la loro funzione primaria e cominciarono ad essere utilizzate quali oggetti esornativi. Negli anni 50/60 si raggiunse il culmine della produzione, poi lento ma inesorabile il declino e nel dicembre 2004 l’epilogo: Francesco Fabbian, l’ultimo pipèr, pose fine all’attività.

 
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