Dalla Pieve di S. Eulalia a Cassanego

(Villa Pradelli-Melchiori, Piazza S. Eulalia, Cassanego, S. Andrea, Rore, Madonna dell’Aiuto, Bondoli, Carrobbio)

Dalla chiesetta di S. Daniele, ai confini con Liedolo, si incrocia Via Misquile, l’antico toponimo romano del paese di S. Eulalia, una manciata di case fra ridenti valli e fertili campi, alla cui pace affidò le sue spoglie Caio Vettonio, sognando i simposi “rosales” e “vindemiales” dei memori amici.

L’estesa campagna, che qui ancora esiste è dominata dalla settecentesca villa Melchiori Pradelli. Benché ridotta a mal partito, la sua sagoma possente, con chiesa e annessa barchessa, mostra una elegante nobiltà architettonica.

All’incrocio di Via Crosera con Via Duca, s’incontra Ca’ Fornari, ora Celotto, circondata da ampio brolo e numerose adiacenze che costituirono, per secoli, un’unica proprietà, andata successivamente frantumandosi. Si tratta di una villa in cui si svolse, per due secoli (Sei-Settecento), quella attività - la lavorazione della lana - che caratterizzò questa terra, lasciandovi alcuni ricordi negli archi, in qualche mulino, in certi toponimi come “petener, petenea”. La famiglia Fornari figura tra le più note ed illustri di Asolo. Il capostipite, giureconsulto e notaio, vi si stabilì, provenendo da Sant’Eulalia, verso la metà del sec. XVII. Venne ascritto al consiglio dei nobili di Asolo. La famiglia asolana Fornari si estinse alla fine del 1800, mentre il ramo di Sant’Eulalia sopravvisse fino agli anni 1940.

Su una parete di una adiacenza alla villa - ora casa Tonellotto - si può ammirare una settecentesca meridiana, con segni zodiacali.

Il capitello dedicato alla Vergine della Salute, opera architettonica di Fausto Scudo, è sorto per iniziativa di Teresa Mazzarollo in Signor. Fu inaugurato il 28 dicembre 1932.

Via Crosera accompagna il visitatore nel centro storico del paese, che gode di una sua suggestività rappresentata da antiche case, da alcuni archi, da una significativa struttura architettonica.

Un angolo caratteristico, costituito da vecchie case adornate da due archi del sec. XVII, si può cogliere all’incrocio fra via Crosera e via Vecchia del Molinetto. Su una parete della seicentesca Ca’ Fabbian fa bella mostra di se il più semplice, il più mistico tra i numerosi capitelli di Sant’Eulalia. Recentemente restaurato, rappresenta la Vergine in trono tra i SS. Antonio e Francesco. Il manufatto porta, al lato sinistro di chi guarda, una scritta: “Io Giov. IX-VIl ...”. II tempo ha cancellato l’anno. Si tratta comunque di opera seicentesca.
In questa casa
LORENZO PEROSI
per diversi periodi di vacanza
ospite gradito di Sant’Eulalia
nel 1897
i Responsori di Natale
compose
Sant’Eulalia dei Misquilesi 1969

Questa lapide, murata nella parete esterna di quella che fu la casa delle suore fino al 1980, ricorda un avvenimento e l’amicizia che legò per tutta la vita Lorenzo Perosi e Gio.Batta Cheso (cfr. Personaggi da ricordare).

Ed eccoci all’ampia piazza Giuseppe Garibaldi, indicata in tutte te mappe come piazza di Sant’Eulalia. Cambiò titolare dall’inizio del 1900, essendo designata fino al 1944 come piazza Vittorio Emanuele III.

Qui si svolgeva, dal 10 al 12 dicembre, in coincidenza con la festa della titolare, una fiera menzionata per la prima volta in un documento del 1315 del Comune di Treviso.

La piazza, con le sue osterie, con le sue botteghe, con i suoi sedili in pietra e le possibilità d’incontro ha rappresentato il cuore del paese.

Nei giorni di festa, fino agli anni cinquanta, si giocavano liberamente le bocce. Dominava la piazza, fino al 1985, il nobile palazzo Pistorello circondato da mura, con arco d’ingresso e brolo. Ingiuria del tempo, incuria ed offesa di uomini hanno fatto sparire il complesso.

In via Asolana, si possono ammirare, benché deturpate, due pitture murali, rappresentanti una il Crocifisso fra S. Bonaventura e S. Francesco, l’altra l’Annunciazione. Questa era la casa di fra Raffaello da Sant’Eulalia (cfr. Personaggi da ricordare).

Un enorme sasso, trascinato, con grande concorso della piccola comunità, che visse in quella occasione un momento epico della sua storia, da Cassanego a valle nel febbraio del 1928, con a lato un fiero alpino, opera dello scultore di S. Zenone Francesco Rebesco (1897-1985) nell’atto di mirare Cima Grappa, le lapidi dei soldati morti in guerra, ai piedi di una murmure fontanina, costituiscono il monumento ai caduti di S. Eulalia, inaugurato il 22 ottobre 1933.

Dalla piazza si ha la visione della “luminosa chiesa di S. Eulalia che come Regina Pacis siede in mezzo al verde smeraldo della bella campagna del Grappa” (da una lettera di L. Perosi a Monsignor G.B. Cheso).

L’edificio fu realizzato tra il 1773 ed il 1794 su disegno di Antonio Gaidon (1738-1829) . È di belle proporzioni architettoniche, sia all’esterno che all’interno. Il prospetto si erge su quattro colonne di stile corinzio, tra le quali vi sono semplici decorazioni con il simbolo della Santa Martire, titolare della pieve. L’interno, sempre di impostazione classica, ha il presbiterio decorato con stucchi originali di fattura veneziana.

Opere pittoriche conservate nella pieve: Martirio di Sant’Eulalia di Andrea Zanoni (n. 1669), SS. Antonio, Carlo Borromeo di Giovanni Martino de Bonis (1753-1810) e dello stesso autore S. Cassiano, martirizzato dai suoi discepoli (1803), Cristo ascendente al cielo con ai piedi i SS. Giustina, Giovanni Evangelista e Prosdocimo di Giacomo Apollonio da Bassano (1584-1654).

Sono conservati fuori culto le tele: Sosta della S. Famiglia nella fuga in Egitto di Ignoto, opera di notevole valore, Madonna in trono con S. Luigi ed Angeli di Ignoto, S. Giovanni Evangelista di Ignoto.

L’altare maggiore ci offre il sorriso di un paliotto, trattato in altorilievo, di Francesco Bonazza (1700), con una Cena tutta ariosa, ricco di movimento e di grazia.

L’organo, costruito da Gaetano Antonio Callido (1727-1873), dono del fratellastro di Antonio Canova, Mons. Sartori Canova, alla Pieve, in seguito all’abbattimento della Parrocchiale di Possagno che cedeva il posto all’attuale Tempio, é stato messo in opera il 1° Agosto 1797.

Nella sacrestia è conservata una lapide di buona fattura, con scritta di rara bellezza stilistica, dettata dall’illustre latinista Pietro Canal che ricorda ai posteri il maestro Francesco Benozzo (1775-1820).

La “Saletta del Sarcofago” custodisce il sarcofago di Cajo Vettonio Fabia Massimo, Veterano, ornato di questa iscrizione:
D(is) M(anibus)
C(aius) Vettonius Fabia Maximus, Veteranus, ex militia reversus, vivos ipse sibi fecit, inque memoriam sui et colende sepolture rosis et escis, paganis Misquilen(sibus) sestertios nummus octingentos dedit, ex cuius summe reditu, rosam ne minus ex sestertiis nummis sedecim posuisse vellint et reliquum, quot est ex usuris escas rosales et vindemiales, omnibus annis, poni sibi voluit et loco uti iussit.

Agli dei Mani
Cajo Vettonio Massimo, della tribù Fabia, Veterano, tornato dal servizio militare, fece da vivo (questo sepolcro) per sé e in sua memoria e per onorare con rose e con offerte la (sua) sepoltura, lasciò agli abitanti del pago di Misquile ottocento sesterzi perché, dal reddito di questa somma, offrissero non meno di sedici sesterzi di rose e, da quanto ancora si riceverà dall’impiego del capitale, volle che gli offrissero, ogni anno, offerte a primavera ed autunno e dispose che il sepolcro fosse accessibile (per portare le offerte).

I pagani Misquilesi occupavano una plaga che abbracciava certamente tutta la pedemontana del Grappa.

Filologicamente eccezionali i due termini “Rosales et Vindemiales” indicanti “la Primavera e l’Autunno”.

Dal 1969, con una rievocazione storica in costumi romani, il desiderio testamentario di Caio Vettonio è tornato d’attualità. Il sarcofago meriterebbe, in loco, una sistemazione più decorosa! “Fu trovato a Sant’Eulalia, nelle rovine della chiesa vecchia di San Cassiano, collocata alla distanza di pochi passi dall’attuale” (G. Forlani, Notizie d’Asolo antico - Museo Civ. di Asolo 1718, p. 89).

Nel 1968, durante i lavori per la costruzione dell’attuale campo sportivo di Sant’Eulalia, sono venute alla luce le fondamenta della chiesa di S. Cassiano, di cui si conserva, in curia di Padova, l’atto di riconsacrazione del 29 maggio 1210. Completamente abbattuta tra il 1774 ed il 1794, periodo durante il quale si stava costruendo l’attuale pieve, il suo titolare trovò ricordo in un altare della nuova parrocchiale, con una pala di buona fattura di G. M. de Bonis (1803).

Percorrendo la panoramica via Caio Vettonio, da piazza S. Eulalia si raggiunge Cassanego (il nome deriva secondo alcuni, dal santo patrono Cassiano, cui anticamente era dedicata la chiesa attualmente consacrata a S. Eurosia; altri propendono per una origine da “cassia”, dialettale per acacia).

Appare come regola o paese autonomo nel Medioevo, in documenti del 1223 e del 1305. Nel 1314, persa la sua autonomia, forma un’unica comunità con Sant’Eulalia. Agli inizi del 1500, la contrada, per poter usufruire maggiormente dei beni della montagna, si unì a Borso. Che si tratti di centro antico, lo dimostrano i numerosi reperti archeologici, tra i quali spicca un sarcofago paleoveneto rinvenuto nel 1807, custodito ora nel museo civico di Asolo. Il conglomerato urbano di contrada Cassanego, benché in parte deturpato, ha una sua originalità, dovuta anche alla posizione. L’oratorio, come ricorda una iscrizione latina, sulla facciata porta il titolo della Madonna, di S. Giovanni e di S. Eurosia, della quale, nell’oratorio, esiste una modesta pittura su tela.

Dietro l’oratorio, merita ricordo la vecchia colombera. A Cassanego ebbe i natali l’incisore Bernardo Zilotti (1730-1795) (cfr. Personaggi da ricordare).

Percorrendo prati e valli si raggiunge l’oratorio di Sant’Andrea, interamente rifatto tra il 1870 ed il 1886. La tradizione lo addita come il più antico centro parrocchiale di Borso. In una visita pastorale del 1587 si accenna, per la prima volta, alla chiesetta di Sant’Andrea “distante dalla parrocchiale 450 m., quasi in rovina”. Modesta la tela del titolare sull’altare.

Si scende percorrendo il greto sassoso della Valle di Sant’Andrea, per raggiungere via e contrà Rore (dal latino rubus, “rovo, spino, pruno”, roveto). Si osservino i muretti a secco, costruiti con i grossi massi provenienti dalla montagna.

Si prosegue per Via Madonna dell’Aiuto. L’arteria prende il nome dall’oratorio eretto nel 1856. Il celebre romanziere John Dos Passos destinato in quel di Borso, tra il 1917 ed il 1918, passava ogni giorno vicino a questo tempietto per recarsi sulla torre campanaria del paese per la sua funzione di soldato osservatore. Da lassù, poteva osservare il sacello, circondato da tutte quelle forme di vita proprie di un paese, il grande prato, ricco di vigne, dove pascolavano i buoi, dove i bimbi giocavano, dove i contadini dissodavano la terra. Ne è nata questa poesia:
Posa davanti all’icona un’ultima offerta
Di grandi papaveri rossi colti nel campo
Della vigna di sotto dove a primavera
Giochi di buoi bianchi pascolano l’erba
Fermati un istante nel crepuscolo
E accarezza quei capini svegli del tocco della dolce età.
Alla Madonna del nostro umile santuario
Ancora una preghiera
Semi irrorati di lacrime
Per germogliare davanti a lei, sul trono di Dio,
E recarci, noi lontani, fiori di grazia
E fortuna nel dissodar le zolle.
(Trad. dall’inglese di Giovanni Cecchin)

Raggiunta Via Piave (già Via delle Piere Rosse) s’imbocca Via Matteo Fabbian aviatore di Borso, caduto nella prima guerra mondiale (già strada dei Bondoli), per sboccare nella zona industriale e artigianale.
Percorse alcune centinaia di metri lungo la Provinciale, si piega a sinistra, per ritornare al punto di partenza attraversando Via Orticella e località Carrobbio (da Quadrivium, quattro vie, termine latino usato ad indicare l’incrocio).

 
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