Sul fianco della montagna

(Casale, Corte, Valle, Cenghia, Chiesa di Semonzo, Caserboli, Frison, Appocastello, Borso centro, Chiesa Parrocchiale, Madonna della Salute, Crosera, Viei)

Dalla località Olmo, Trattoria alla Croce, parte Via Casale (uno degli accessi della strada Giardino) che attraversa la più antica contrada di Semonzo: documenti medievali parlano di Submontio vel Casale.
Architettonicamente interessante è il complesso unico di abitazioni che fiancheggiano la strada, dall’andamento mosso, curvilineo, con rientranze e sporgenze e con i sottoportici che introducono ai cortili interni usati come aie. È andato perduto anche l’ultimo segno, una meridiana, di quell’edificio che tradizioni orali, e non sempre chiare, indicano come un antico convento.

Il capitello di S. Orsola si colloca all’incrocio fra la continuazione di Via Casale (qualche centinaio di metri più avanti è degno di visita un altro capitello recante un affresco di squisita esecuzione Madonna con i Santi Severo, Rocco, Sebastiano e Luigi), via Celli e la vecchia via Tedesca (Casale Nuovo) che attraversa una zona residenziale, un tempo di campagna, detta “Masaroi” (da “masaron”, accrescitivo di “masiera, masgiera”). Il territorio suggerisce nella distribuzione dei poderi il reticolato proprio delle centuriazioni romane e l’esistenza di argini di difesa in terrapieno attesta che veniva spesso allagato dalle acque provenienti dalle paurose piene della valle del Caldieron.

La via Tedesca collega, parallelamente a Via Molinetto, Borso con Romano, passando per Corte. È evidente nel toponimo il riferimento alla vicinanza del castello dei Vescovi di Treviso sulla Rocca antistante o alla presenza ezzeliniana. Il borgo si distende ai piedi di dolcissime colline fra le quali il “Col delle Strighe”.

Il nome è molto probabilmente legato alla credenza che dopo il Concilio di Trento tutte le streghe siano state cacciate nell’adiacente Valle di S. Felicita.

Per giungere in Valle si ha modo di gustare uno degli angoli più pittoreschi del paese. Al limitare del bosco sorgono una chiesetta dedicata a S. Felicita, un vecchio forno, un ampio edificio che, attualmente casa colonica, in età medievale fu ospizio per pellegrini. L’attuale struttura risale al secolo XVIII.

Il luogo doveva essere abitato e rinomato in epoca assai più antica, come sostengono alcuni storici, rifacendosi al documento dell’anno 1000, in cui l’imperatore Ottone III concesse a Rambaldo di Collalto, conte di Treviso, di aprire un mercato: “diamo il consenso di edificare un foro ossia un mercato in Valle di S. Felicita ...”. I termini “foro” o “mercato” fanno pensare non ad un modesto mercato settimanale, ma ad una fiera annuale o semestrale (il che è provato dagli statuti del Comune di Treviso nei quali si legge «Sia lecito agli uomini di Montebelluna di avere e tenere mercato dodici volte all’anno e non più di uno al mese, ma che non coincida con la fiera di S. Lucia, di S. Felicita e di Castelfranco») che il conte Rambaldo avrebbe potuto regolare come meglio credeva, assicurandone il buon funzionamento e perseguendo coloro che avessero commesso qualche reato.

Giustamente si sottolinea che con il nome di S. Felicita non si può intendere il vallone soggetto a piene rovinose e tutt’altro che idoneo ad accogliere un mercato, per cui è lecito pensare che si volesse indicare un’area pedemontana presso un oratorio dedicato a S. Felicita, forse quello appunto che esiste alle propaggini di località Cenghia.

La Valle si raggiunge per una carrareccia dissestata e si mostra subito come una gola profonda fra muraglie ripide e rocciose. Il luogo suscita fascino e mistero.

Qui si fa risalire al 1055 la fondazione di un monastero di benedettine di stretta clausura.

Verso la fine del sec. XIV le suore abbandonarono il convento ormai in rovina.

Di sicuro si sa che la dignità di abbadessa venne soppressa da Papa Eugenio IV il 19/05/1438. Ma, già dal 1404 il convento non apparteneva più alle benedettine (“questo asceterio rovinò sia nella disciplina della regola che nell’edificio”, Sajanello) in quanto ad esse erano subentrati degli eremiti che costituirono la congregazione di S. Gerolamo (Gerolimini), fondata da Beltrame da Ferrara (1370-1444).

Per quanto riguarda la sorte del Monastero è diffuso il racconto che si riferisce ad una presunta alluvione, avvenuta il 15 luglio 1636, come punizione delle cattive azioni degli eremiti, la quale avrebbe travolto l’edificio e messo in fuga i frati. In quella occasione la furia delle acque avrebbe deviato verso Semonzo, per il Volon, portando l’effigie della Madonna venerata nella Chiesetta del Cenobio, fino a Mussolente, dove sarebbe stato ritrovata tra le sabbie del torrente Giaron. A questo fatto sembra si debba far risalire il culto della Madonna dell’Acqua.

Oggi, della vecchia comunità, sopravvivono solo due segni: un antico pozzo detto “dei frati”, proprio nel luogo dell’abbazia e, un po’ più a nord, un capitello che nella struttura attuale fu eretto nel 1815, ma che è testimoniato in quel medesimo posto anche in antiche mappe. Tale capitello è stato racchiuso nel 1922 nel sacello quale si presenta oggi ed è dedicato alla Madonna del Buon Consiglio, il cui culto risale, secondo il Bortoli, al XV secolo.

La valle è tuttora oggetto di cupe leggende legate alla memoria di Ezzelino da Romano. Scrive il Brentari “... Alla metà della valle sorge un capitello assai venerato. Si racconta e si crede che di notte, al di qua del capitello, Ecelino non si arrischia venire; ma lo si sente gridare al di là, e trascinar catene …”

Ritornando verso l’abitato di Semonzo, si incontra la borgata della Cenghia, uno degli antichi colmelli che conserva ancora le strette vie serpeggianti fra le case una ridosso all’altra, gli angusti cortili con il pozzo, ma che, espandendosi verso il piano, ha tradito in parte il proprio nome che la vorrebbe “prato circondato da roccia” o, se vogliamo, borgo che cinge la montagna.

Da qui, elegante appare la bianca chiesa parrocchiale, dedicata a S. Severo e S. Brigida.

Del primo si sa che fu vescovo di Ravenna nel V secolo, eletto a tale dignità, secondo la tradizione, dalla colomba, lasciata libera nella cattedrale gremita di popolo. Poco o nulla si sa invece di S. Brigida e neppure a quale delle tre sante con questo nome si riferisca.

La attuale Chiesa risale al 1756, come recita la iscrizione latina sopra il portale di centro.

Sorse sui resti della precedente costruzione, fortemente danneggiata dal terremoto del 1695, rivolta ad oriente, come è documentato da una mappa del 1696.

Si tratta di un edificio armonioso e ben intonato, opera dell’architetto Giovanni (Zuanne) Miazzi (1699-1797), allievo di Francesco Maria Preti. Un restauro intelligente e accurato, sia interno che esterno, ha messo in risalto le nobilissime linee neoclassiche.
È a navata unica, con quattro altari ben intonati, ma privi delle pitture adatte.

Di buona fattura sono gli Evangelisti, in alto, agli angoli, in affresco, d’autore ignoto. probabilmente della scuola del Piazzetta (1682-1754).

L’organo è di Gaetano Callido. La lunetta soprastante e il soffitto rappresentano rispettivamente una allegoria della Religione e la Gloria di S. Severo, opere di Antonio Zucchi, bassanese (1700).

Sul presbiterio, bel coro ligneo. Alle pareti due grandi tele di Giuseppe Poppini da Schio raffiguranti l’Ultima Cena (1835) e la Raccolta della Manna nel deserto (1858). Anche la pala dell’altare maggiore, con S. Severo e la chiesa nello sfondo, è dello stesso artista, del quale si trova nella sacrestia una Madonna con le Anime purganti.

Certamente della scuola dei Da Bassano è la Visitazione, proveniente da un altare della Parrocchiale precedente, collocata sopra la porta detta “della Cenghia”.

Fresche ed essenziali nel racconto sono le ottime tavole della settecentesca Via Crucis.

Il campanile, tutto in cotto, ideato dall’ingegnere Augusto Zardo (1810-1914), è stato inaugurato nel 1907.

Nella Pasqua del 1987, le tre campane vecchie sono state sostituite da sei campane nuove, opera pregevole della illustre fonderia De Poli di Vittorio Veneto.

A fianco della chiesa, percorso un breve tratto della Via Giardino, una deviazione a destra porta in contrada Caserboli (Ca’ Erbolati).

Qui è vissuto gli ultimi anni della sua vita Alfarè Rodolfo, noto e apprezzato pittore di fama nazionale. Veneziano di origine, ha affidato ai suoi quadri il brillio del verde umido, la luce azzurra, la serenità del paese di adozione.

Salendo, si arriva in località Frison, compresa fra i terrazzi cintati dai muri a secco delle “masgere”.

La strada, fattasi sentiero, attraversando il conoide della Cornosega, in un ambiente aspro, tutto ciottoli e cespugli, dove regna il pungitopo, porta alla Ca’ Piovega (Casa pubblica), ora Follador (Scoransa), la cui struttura e denominazione fanno pensare a una funzione pubblica o alla presenza di una qualche magistratura su quella che era la strada di principale passaggio ai tempi della Serenissima.

Si cammina per via Appocastello (presso il castello), per sbucare nella centrale e stretta Via Roma (un tempo Riva Alta), in prossimità del monumento elevato a Monsignor Serena (cfr. Personaggi da ricordare) che si apre in uno spiazzo su cui domina il Municipio, dietro il quale sorge il signorile palazzo dei Dalla Valle. Superata la Piazza Marconi, deviando a destra per via Ospitale, è opportuna la visita alla cappella della Scuola materna, dedicata alla Madonna della Salute, parte di un complesso adibito in passato a ospedale e lazzaretto. Sorta nel 1600 come voto, in occasione delle ricorrenti pestilenze, conserva un quadro attribuito alla scuola dei Da Bassano. La figura di S. Sebastiano riproduce quella eseguita da Jacopo da Ponte esistente nella sacrestia del Duomo di Castelfranco.

Si può procedere per l’antico colmello di via Zaghi, ove si trovano la casa natale del pittore Paolo Bonato e gli ultimi ‘‘piper’’ artigiani-artisti della lavorazione delle pipe.

Si incrocia, in prossimità del patronato parrocchiale (Palazzo Zanini) la ripida via Monte Grappa. Si giunge, così, alla Arcipretale di Borso, dedicata a S. Zenone, sorta sul luogo della preesistente. La chiesa, abbattuta all’inizio del 1900 (che a sua volta aveva occupato lo spazio di un’altra demolita sul finire del 1700), era opera dell’architetto Antonio Gaidon, mentre Jacopo Guarana ne aveva affrescato il soffitto con una Ascensione al cielo.

Di questo lavoro gaidoniano non rimane oggi che il coro, trasformato in sacrestia, ricca di grazie settecentesche.

L’attuale edificio venne costruito fra il 1910 e il 1929. Possiede opere d’arte di grande pregio: l’altare maggiore conserva strutture di indubbio valore artistico, come il grazioso tabernacolo, il paliotto seicentesco e le statue ai lati di S. Zenone e del Battista, sculture apprezzabili di G. B. Bonazza, ammirate dallo stesso Canova giovane.
La pala, di Jacopo da Ponte (1510-1592), è di grande importanza, perché segna una svolta nello sviluppo del gusto bassanese e può essere considerata l’atto di nascita di un nuovo artista. La Madonna e i due santi, Zenone e il Battista, si impostano nello spazio con autorità, modulati con una cadenza grandiosa.

Dello stesso artista, vi figura una Fuga in Egitto.

Del bassanese Francesco Trivellini (1660-1773) si conserva una pala con Crocifisso e i santi Francesco e Antonio.

Fa buona compagnia alla chiesa moderna il vecchio campanile, armonioso nelle proporzioni e nella linea, in pietra viva, tranne la pigna in cotto.

Di fronte alla chiesa, è stata collocata una stele con busto in onore di don Italo Girardi, cappellano di Borso dal 1966 al 1970, morto tragicamente in un laghetto alpino, a Castel Tesino, nel tentativo, riuscito, di salvare un giovane che stava annegando. Alla sua memoria il Governo Italiano ha concesso la medaglia d’oro al valore civile.

Continuando verso Via Madonna dell’Aiuto e deviando poi a destra, all’altezza dell’Oratorio, per via Ospitale, si incrocia Via Martiri del Grappa, ove ha sede il Centro Sociale “Giuseppe Giacomelli” (cfr. Personaggi da ricordare) che porta, attraversata Via Piave, (a un centinaio di metri il monumento ai caduti, sobrio ed elegante, che ripropone il primitivo sacello del Monte Grappa), alle scuole Medie e agli impianti sportivi (palestra).

Da via Piave si trova l’accesso, davanti al forno Ziliotto, di via Crosera. La strada sfocia in Via Viei, l’antico accesso a Borso, che giunge alla Provinciale in Contrà Cibera (da cibarium, pascolo).

 
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