Un lungo viaggio fino a Bolzano Vicentino



Ubaldo Oppi


Pittore bolognese nato il 29 luglio 1889, vicentino di adozione, è ricordato come uno dei maggiori esponenti del Realismo magico. A Parigi conosce Severini e Modigliani e incontra l’arte del periodo blu di Picasso. Rientrato in Italia, combatte da tenente degli alpini rimanendo ferito quattro volte sul Pasubio e sulla Bainsizza e trascorrendo un periodo di prigionia a Mauthausen. Dopo la grandiosa esperienza novecentista che proietta Oppi nel dibattito internazionale del ritorno all’ordine e della nuova oggettività, l’artista esce dalla scena pubblica e si ritira a Vicenza a partire dal 1932. Trascorre a Bolzano Vicentino il periodo che va dal 1933 al 1935 lavorando alla nuova fabbrica sacra.
Nel novembre 1934 l’Osservatore Romano lo elogia perché porta il “nuovo” nell’arte religiosa, ma dopo lo straordinario periodo bolzanese di cui sono testimonianza ben 700 metri quadrati di pittura Oppi cade in una serie di torpore operativo. Tra le tele ad olio del periodo di Ubaldo Oppi, si ricorda il Ritratto di Monsignor Ferdinando Rodolfi, il vescovo di Vicenza che volle la chiesa arcipretale di Bolzano in stile romanico-lombardo, realizzata dall’Arciprete Monsignor Albano Dovigo tra gli anni 1924 e 1937 e che fu consacrata il 18 settembre 1937.
Stabilitosi in via definitiva a Vicenza nel 1932, viene richiamato alle armi nel 1941 ma muore per malattia il 25 ottobre 1942.
 
 
Dal Novecento all’arte religiosa

Agli inizi degli anni ‘20 del secolo scorso in Italia si crea un movimento di artisti chiamato Novecento, movimento specifico che trova tra i suoi fondatori Ubaldo Oppi. L’idea centrale del movimento era quella di riprendere la tradizione legata alla cultura artistica italiana del Quattrocento, non ripetendo l’antico, ma rinnovandosi in maniera anti-avanguardista. Il Novecento ebbe nelle arti figurative e nell’architettura uno sviluppo equivalente al Novecento letterario e musicale. Il periodo della sua prima espansione risale, per quanto riguarda la pittura, al 1922, quando alla Galleria Pesaro di Milano, con il contributo di Margherita Sarfatti scrittrice e giornalista, si riunì il primo gruppo di artisti formato da Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Mario Sironi e Ubaldo Oppi, che esposero nella medesima sede l’anno successivo. Oppi almeno all’inizio, abbracciò gli ideali del movimento Novecento e il ritorno all’ordine dopo le esperienze delle avanguardie artistiche come il Cubismo e il Futurismo. Con la scelta di partecipare singolarmente nel 1924 alla XIV Biennale di Venezia, allestendo in un’unica sala ben 25 opere, Oppi si discosta dal quell’ideale di gruppo che aveva contraddistinto la prima esperienza milanese, rimarcando così la propria originalità e indipendenza. Lo stile asciutto, l’uso di colori tenui, volumi ben definiti e cura dei dettagli, sono caratteristiche inequivocabili dello stile pittorico di Oppi, sia quando l’artista lavora ad olio nel classico formato da cavalletto, così pure nelle grandi superficie murarie, cimentandosi con l’antica tecnica ad affresco. Il ritorno alla figura, inteso come ritorno all’ordine, porta Oppi al confronto non solo con le esperienze del contemporaneo, ma soprattutto porta ad una rivisitazione della tradizione iconografica dei primitivi italiani, (‘300-‘400) attraverso la grande pittura a soggetto religioso.
A partire dal 1925 e fino agli ultimi anni di vita, Oppi inizia a dipingere tematiche religiose, tra cui spiccano i cicli di affreschi nella cappella di San Francesco al Santo di Padova e l’intero ciclo per la chiesa arcipretale di Bolzano Vicentino. Di questa svolta religiosa scrive: “Dubbi e oscillazioni spirituali, e lo spettacolo dell’arte e della vita attuale, mi portarono alla costatazione che occorreva vivere su di un piano morale ove ogni atto e pensiero potessero essere controllati da leggi divine”. La realizzazione dei temi sacri commissionati da enti religiosi sono da annoverarsi fra gli esempi migliori della pittura sacra del XX secolo. Sembra quasi che la svolta religiosa abbia condotto Oppi a una scelta di vita e di lavoro più meditativa e isolata, dettata anche da un lento abbandono delle tensioni del dibattito culturale, che a poco a poco si trasformò in distacco dalla ricerca e in disinteresse per la dialettica delle idee, portando la sua attività artistica a rimanere circoscritta alla piccola città di Vicenza.
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