La Chiesa Arcipretale di Santa Maria



Non a torto viene definita prodigiosa la costruzione e la decorazione della Chiesa Arcipretale di Santa Maria, i cui lavori sono stati commissionati e coordinati con stupefacente maestria e lungimiranza dall’allora Arciprete Monsignor Albano Dovigo. Si cita qui solo il fatto che la fabbrica fu eretta in un intervallo di tempo straordinario (1924: posa della prima pietra - 1926: completamento della struttura muraria) senza trascurare la qualità del lavoro ed il pregio delle finiture.
Il valore aggiunto di questo prezioso scrigno è dato dal fatto che la Chiesa custodisce l’unico ciclo completo di pittura a soggetto sacro interamente eseguito da Ubaldo Oppi.
Il contratto per la decorazione dell’interno della Chiesa venne stipulato da Ubaldo Oppi con Monsignor Dovigo nel marzo 1933 e già nel 1934 Ubaldo Oppi iniziò la decorazione per concluderla nel 1935.
 
“Le opere di Bolzano Vicentino confermano, nel loro insieme, che il punto di forza di Oppi non sono le composizioni ricche di figure in movimento disposte su piani diversi. Anzi in lui il movimento proprio non esiste, perché non ci sono diagonali: solo ritmi verticali e orizzontali che fermano il tempo, come nelle nature morte di Morandi. Si osservi l’affresco intitolato La presentazione al Tempio. L’artista organizza i pochi personaggi necessari al racconto in primo piano. Nessuna persona sullo sfondo, che comporterebbe un cambio di scala nelle proporzioni delle figure. I personaggi, tutti in piedi, e contenuti nei movimenti, sono disposti secondo ritmi verticali enfatizzati dalle colonne bianche. Tutta la composizione è costruita nello spazio di pochi gradoni orizzontali, dei quattro elementi colonnari e del cielo: ascisse e ordinate, diagrammi visivi precisi di linee verticali e orizzontali. È un modo di comporre tipico di Oppi quello in cui il primo piano occupa tutto lo spazio dell’opera, lasciando pochi varchi per gli sfondi di paesaggi o architetture, ribadito ancora una volta nei citati Tre chirurghi. Qui, addirittura, c’è un primo piano quasi “forzato”, per il fatto che le figure, ritratte dalla coscia in su, sembrano uscire da uno specchio troppo vicino alle persone che vi si osservano: è il vedere proprio dell’occhio del ritrattista che lavora al chiuso a pochi metri dal modello. L’assenza di secondi piani è evidente anche nel paesaggio del Gesù buon pastore, affrescato nell’abside, che descrive tutto l’arco delle nostre Prealpi da cima Marana al Grappa, come se Gesù con il suo gregge di pecore (ricordo di antiche e recenti transumanze) fosse sull’argine del fiume Tesina con le montagne alle spalle. Le composizioni di Oppi non contemplano i piani intermedi, solo gli estremi: vicino / lontano. Così avviene anche nei due affreschi dedicati a San Paolo e a San Giovanni, con allusioni alla cultura e alla storia nel primo, alla natura nel secondo. La figura di San Paolo che capeggia statuaria al centro della composizione, tra due colonne classiche con le basi e i fusti simili a quelle di Palazzo Chiericati e, sia pur lontanissime, due icone della romanità come il Colosseo e un arco trionfale, per altro molto simile all’Arco delle Scalette di Monte Berico, non può non ricordare la statua ottocentesca del Palladio meditabondo davanti alla Basilica di Vicenza con tanto di libro in mano. Sembra proprio che l’opera sia un omaggio al grande architetto poiché anche il volto di San Paolo è simile all’iconografia ottocentesca del Maestro. Anche l’affresco del San Giovanni, che sembra avanzare verso il fiume Giordano, è costruito per partiture verticali impostate dai due tronchi d’albero che ricordano quelli eseguiti dal pittore per l’opera Paesaggio con pioppi. Gli alberi sono dipinti in maniera piatta sintetica per non disturbare la definizione pittorica del personaggio dal volto particolarmente espressivo”. [Prof. Mauro Zocchetta]   
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