La prima guerra mondiale

L'offensiva austro-ungarica del maggio '16 sull'altopiano dei sette comuni, la Strafexpedition, rese per prima necessarie strutture difensive sul Grappa, fino ad allora seconda linea del conflitto che infuriava dal '15, per rafforzare lo sbarramento della valle del Brenta: vennero realizzati la strada Cadorna, due teleferiche, serbatoi d'acqua e postazioni di batterie.

Solo in seguito alla rotta di Caporetto (24 ottobre 1917) il massiccio assunse vitale importanza per il nuovo fronte: cardine e perno tra le linee del Piave e dell'altopiano di Asiago.

Sul Grappa, ancora sguarnito di uomini e strutture, fu inviato il XVIII Corpo d'Armata, che riuscì a fermare, il 13 novembre, l'avanzata austriaca, giunta pochi giorni prima ad occupare Feltre.

L'inverno incombente rese inefficaci due successive offensive austro-ungariche, così, tra il dicembre '17 e il maggio '18, il Genio fu in grado di trasformare il massiccio in un'unità bellica completamente autonoma: dalla grande galleria Vittorio Emanuele lunga più di 5000 metri, alla galleria Conca Bassano (tutta in territorio di Borso), mulattiere, teleferiche, strada ferrata, rete acquedottista in montagna oltre ovviamente a decine di chilometri di trincee e reticolati, costituirono un sistema difensivo che avrebbe dovuto resistere alla ripresa delle offensive nemiche, giunta il 15 giugno del '18 (la celebre Battaglia del Solstizio).

Durante questo attacco reparti austriaci occuparono temporaneamente le postazioni più avanzate dell'esercito asburgico in Italia durante il primo conflitto: ponte San Lorenzo, Monte Coston, il costone Pertica-Grappa, prospiciente la pianura veneta. La dinamica delle operazioni è ben descritta nelle parole del generale Giardino, comandante della IV armata del Grappa: Alle dieci del mattino [del 15 giugno] s'era sul punto di essere perduti, a metà pomeriggio si era salvi, a sera era già la vittoria.

Nelle settimane successive gli eserciti, in battaglie continue e a costo di un numero esorbitante di vittime, si fronteggiarono lungo una linea nel complesso immutata.

Il 24 ottobre iniziò la battaglia di Vittorio Veneto, quasi interamente combattuta sul massiccio (la IV armata subì da sola il 75% delle perdite dell'esercito italiano negli ultimi dieci giorni di guerra), decisiva per le sorti del conflitto: la pressione sul Grappa impedì infatti agli austriaci di rafforzare le linee sul Piave, rendendo più agevole l'attacco italiano in pianura. Il 31 ottobre gli austriaci iniziavano la ritirata; il 4 novembre la guerra finiva.

Impossibile tracciare una stima complessiva dei caduti sul massiccio dal 1917 al 1918. Il ritrovamento, pochi anni fa, dei corpi di altri soldati sulle pendici del monte sacro alla patria rende drammaticamente l'idea di una tragedia senza fine. Il Sacrario militare del Grappa raccoglie le salme di 23.000 soldati di entrambi gli eserciti; nel Tempio-Sacrario di Bassano trovano riposo i corpi di altri 5400 caduti italiani. Nello scenario bellico, il destino di Borso del Grappa fu simile a quello degli altri comuni della pedemontana: tra il '16 e il '17 il comune divenne un vero centro di raccolta delle divisioni che si dirigevano verso le zone calde del conflitto.

Il danno per il territorio fu notevole, essendo i campi utilizzati per le esercitazioni o per gli accampamenti.

La posizione del comune di Borso però lo proteggeva dal tiro dell'artiglieria austriaca, che invece sfuriava, a pochi chilometri, su Romano e San Giacomo.

Dopo Caporetto giunse l'ordine di evacuazione, destinazione località della Romagna e delle Marche. La direttiva non venne rispettata appieno dalla popolazione; nondimeno furono molte le famiglie ad allontanarsi dalla propria terra. Le lettere e i diari dell'epoca parlano di una quotidiana convivenza con il caos della guerra: incidenti, morti, feriti, mutilazioni, sia tra i militari che tra i civili, ma anche disordini sociali, crisi familiari, in uno stato di angoscia e scoraggiamento forse non drammatico come la vita in trincea, ma sicuramente altrettanto tragico: gli abitanti di Borso infatti furono tra i pochi sfortunati a dover sopportare la Grande Guerra nelle proprie case, sulla propria terra, in un rapporto diretto con la distruzione e la morte che segnò nel profondo il territorio.
 
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