I Filò

D’inverno in campagna si vivevano momenti comunitari durante “ i filò”. Il termine deriva dal verbo filare: “filò come veglia di campagna”.
Il filò denotava un momento di riposo. Consentiva lo scambio di idee e di informazioni. Quando sopraggiungeva il freddo, la stalla era l’unico posto dove si potesse trovare un po’ di calore. Nelle case il focolare si accendeva solo per cucinare; pochi potevano permettersi tanta legna. Non che essa mancasse, ma se qualcuno tentava di rubare anche solo quella verde, poteva essere messo in galera per un anno.
Le donne e i bambini erano i primi ad arrivare nelle stalle per ascoltare “ il fulador”, colui o colei che raccontavano le fiabe. A sera inoltrata iniziava un tipo di narrativa rivolta esclusivamente ai grandi, i piccoli pur essendo presenti, dovevano rimanere in assoluto silenzio.
 Le stalle grandi ospitavano circa trenta persone, nessuno mancava: il narrare, il dialogare, lo stare insieme significavano distrazione del lavoro, distensione. La tradizione dei  “filò” si è protratta a lungo fino alle soglie della seconda guerra mondiale e nel cambiamento dei costumi alle interminabili “favole” si sostituirono i racconti a puntate dei foto-romanzi o di film.
Nelle case adiacenti la Piazza, le lunghe sere d’inverno si passavano attorno al focolare dove  non mancavano mai nonni o anziani di famiglia che raccontavano ed insegnavano vecchie filastrocche, modi di dire, favolette semplici e talvolta ingenuamente maliziose.
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